Il Rapporto Draghi e la strategia industriale europea

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30 Settembre 2024


Dopo un anno di lavoro, l’ex Presidente della BCE ha presentato alla Commissione Europea il proprio report sullo stato della competitività europea. La fotografia che ne emerge è desolante, sebbene gli interventi necessari a rilanciare la crescita siano stati individuati con precisione. Il convitato di pietra rimane la politica: oltre le parole servono i fatti, ma l’attuale governance avrebbe bisogno di una riforma.


Il rilancio dell’Europa e il ruolo dell’industria

Il rapporto di Mario Draghi – ampiamente atteso dall’establishment europeo – è finalmente disponibile e accende i riflettori sullo stato “agonizzante”, per usare le parole dell’ex Presidente, del capitalismo europeo. L’agonia non è immediatamente percepibile perché tendenziale e non ancora manifesta: tuttavia, se il ritmo di sviluppo rimarrà costante e così le divergenze verso Cina e USA, col passare dei decenni l’Europa si troverà sempre più insicura, povera e marginale rispetto alla costruzione del mondo che verrà. 

Nell’analisi del più famoso banchiere centrale della sua generazione, tutto deve essere osservato a partire dalla cornice dello scenario geopolitico. Per quarant’anni l’Europa si è trovata a beneficiare di un’eccezionale allineamento di fattori favorevoli, ma aver normalizzato le nostre aspettative su di essi è stato un grave errore: bisogna riconoscere la fortuna quando la si incontra e non sedersi sugli allori supponendo che non ci abbandonerà più.


Il nuovo scenario geopolitico impone cambiamenti strutturali

In particolare, l’Europa ha goduto per decenni i benefici di un ordine pacifico centrato sul libero scambio, in cui gli Stati Uniti garantivano la sicurezza militare, la Russia forniva energia a basso costo e la Cina abbondante manodopera e un florido mercato di sbocco per la produzione industriale. Al centro di questa confluenza di fattori, dice Draghi, l’Europa ha creduto di potersi concentrare unicamente sulle proprie questioni finanziarie e sulla manutenzione del proprio welfare, sorvegliando il proprio mercato interno come un piccolo giardino, ma ha dimenticato di non avere il controllo su nessuno dei principali fattori che lo alimentano. La forza militare americana, infatti, risponde al governo di Washington; i giacimenti di gas russo sono nella disponibilità amministrativa del Cremlino; le fabbriche cinesi, per quanto sembri ovvio ricordarlo, si trovano in territorio cinese.

Il cambiamento di scenario, che negli ultimi anni è avvenuto in modo piuttosto repentino, ha dunque colto di sorpresa la classe dirigente europea. Tuttavia, a ben guardare, non ci troviamo davanti a una crisi, ma solo al naturale fluire della storia. È interessante notare come il mondo globalizzato a cui eravamo abituati sia alla fine risultato vittima di nient’altro che il proprio successo: è stata proprio la globalizzazione a fornire alla Cina i mezzi e la forza per poter ambire a un ruolo da protagonista della gestione della sicurezza mondiale, ed è proprio l’interconnessione profonda fra tutte le economie ad aver reso tanto drammatica e fulminante l’esplosione della pandemia del 2020. Di conseguenza, non ci troviamo davanti a una disfunzione del sistema, quanto piuttosto al fisiologico compimento di una fase del suo sviluppo e al contestuale inizio di una fase successiva, con caratteristiche nuove – e, purtroppo per l’Europa, non altrettanto favorevoli.


La guerra in Ucraina e le riforme necessarie

La sveglia, come noto, è suonata per tutti con l’invasione russa dell’Ucraina. Il ritorno della guerra di trincea nel Vecchio Continente ha comportato la rottura dei rapporti economici con la Russia e la crisi del modello industriale tedesco, nonché un innalzamento dei costi dell’energia che – come mostra il Report – ha toccato il +158% rispetto ai concorrenti USA e Cina. Dati drammatici che impongono un ripensamento strutturale delle priorità e dei piani d’azione di Bruxelles e dei governi membri dell’Unione, per evitare, nota Draghi, di doverci un giorno trovare a dover scegliere fra le libertà, i servizi sociali e la sicurezza ambientale, con tanti saluti al “modello europeo”. 

Che fare, dunque? Dal punto di vista macro, Draghi si concentra su poche fondamentali esigenze: nuova governance (riforma dei Trattati), capitale umano, alta tecnologia e una capacità finanziaria all’altezza della sfida (s’intende: titoli di debito comune emessi a livello dell’Unione). Il tutto accompagnato da un impegno poderoso per conseguire una maggior autonomia energetica anche attraverso le fonti rinnovabili.


La ricetta di Draghi

In breve, il lavoro da fare è tantissimo – e questa, di per sé, non sarebbe affatto una cattiva notizia. Il vero problema è creare i presupposti – di capitale umano, industriale e finanziario – per riuscire a svolgere tutto questo lavoro e rimettere in carreggiata l’economia dell’Unione, prima che i nostri competitor principali aumentino il distacco a tal punto da rendere vana qualsiasi rincorsa. Per questo motivo Draghi auspica, nel proprio Report, una serie di iniziative tanto nel campo della ricerca, quanto della revisione delle regole antitrust e dell’emissione di debito comune. 

Sullo sfondo, inevitabilmente, rimane lo spettro della politica, cui spetterebbe operare una riforma dei Trattati. Tale riforma, sempre rinviata e mai davvero all’ordine del giorno, è la vera trasformazione strutturale senza la quale la paralisi e la lentezza dell’Unione rischiano di rivelarsi ogni anno di più il vero tallone d’Achille del progetto europeo. Le prospettive di realizzazione di questa riforma sono tuttavia limitate: non per nulla Draghi riserva ad esse l’ultima pagina del suo rapporto, osservando come molte delle iniziative necessarie al recupero della competitività europea possano essere adottate senza aspettare la revisione del sistema decisionale. Una nota che molti hanno letto come una ammissione delle quasi insormontabili difficoltà che un serio percorso di riforme si troverebbe oggi ad affrontare. 


Il ruolo cruciale delle PMI

Il rapporto Draghi non si concentra esplicitamente sul ruolo delle PMI in nell’auspicato processo di trasformazione della struttura economica europea, ma vi sono una serie di informazioni che ne sottolineano l’importanza. In particolare emerge che:

  1. Le PMI sono essenziali per promuovere l’innovazione e diffondere nuove tecnologie.
  2. Le PMI possono svolgere un ruolo significativo nella transizione verso un’economia più sostenibile.

Tuttavia, per valorizzare queste funzioni fondamentali delle PMI, il rapporto evidenzia una serie di nodi critici che necessitano di attenzione:

  1. In primo luogo, bisogna migliorare e semplificare l’accesso ai finanziamenti per le PMI
  2. In secondo luogo, è fondamentale ridurre gli oneri normativi e amministrativi, armonizzando la regolazione europea
  3. In terzo luogo, bisogna promuovere la collaborazione e il trasferimento di conoscenze fra PMI, università e centri di ricerca

Se le indicazioni del rapporto verranno accolte e fatte proprie dalla nuova Commissione europea, o rimarranno per lo più un testamento politico del banchiere centrale che ha salvato la moneta unica, è la domanda che nel prossimo anno dovrà trovare risposta