Il capitale del futuro si forma adesso: la partita dello sviluppo secondo la Banca d’Italia
L’affanno del sistema-Italia per tenere il passo della globalizzazione, attraverso gli shock dell’ultimo decennio, ha rivelato che l’economia nazionale è inadatta al nuovo ambiente tecnologico e politico. A differenza dei principali partner europei, l’Italia spreca risorse finanziarie, disperde il suo capitale umano e non riesce a premere sull’acceleratore della produttività: vizi ereditati da un passato ingombrante, il cui fantasma incombe ancora su di noi.
LA TERZIARIZZAZIONE ZOPPICANTE DELL’ECONOMIA ITALIANA
I Quaderni di Economia e Finanza della Banca d’Italia offrono spesso dati e osservazioni molto interessanti per chi, come gli imprenditori, scruta l’orizzonte per cercare di indovinare le giuste strategie di investimento e di azione per costruire pezzi di futuro.
Dall’insieme di alcune fra le più recenti pubblicazioni relative ai temi del risparmio, della dinamica dei salari e della distribuzione ineguale del reddito, emerge un quadro complessivo che potrebbe essere sintetizzato in un semplice concetto: la terziarizzazione dell’economia italiana è un processo zoppicante, per via di limiti strutturali che rischiano di spingere il Belpaese sempre più ai margini della prossima fase di sviluppo globale.
Fra le linee di tendenza caratteristiche della terziarizzazione, come noto, vi sono non solo la deindustrializzazione a favore del settore terziario, con l’accentuarsi dell’urbanizzazione e la conseguente diffusione di stili di vita improntati al consumo di massa, ma anche la finanziarizzazione dell’economia (cioè la crescita del mercato dei capitali e la maturazione del settore bancario) unita a una concentrazione degli investimenti nei settori dell’alta tecnologia alimentati da professionalità knowledge-intensive. Proprio qui l’Italia registra le maggiori carenze.
VIZI ANTICHI, PROBLEMI NUOVI: IL “TESSUTO IMPRODUTTIVO” ITALIANO
Possiamo ammettere, col proverbiale senno del poi, che al passaggio del Duemila l’Italia sia arrivata culturalmente impreparata: convinta di avere in tasca la chiave per una crescita costante e di poter difendere i diritti e i privilegi acquisiti sfruttando le molte rendite di posizione costruite all’epoca della Guerra Fredda.
La storia, purtroppo, ha scelto di imboccare una strada diversa. L’ingresso della Cina nel WTO, l’allargamento a Est dell’UE, la crisi finanziaria e poi il ritorno della guerra in Europa hanno terremotato le certezze e le aspettative di almeno due generazioni di leader, rimettendo in discussione la traiettoria dell’Italia nel grande gioco dello sviluppo industriale.
In un confronto con regioni analoghe di altri grandi paesi europei (Germania, Francia, Spagna), le aree trainanti dell’economia nazionale risultano essere meno capaci di focalizzare i propri investimenti, dispongono di un capitale umano meno qualificato e di salari stagnanti, quando non in leggero calo. Il rischio è quello di accumulare un ritardo che faccia perdere all’Italia la sua posizione avanzata nelle supply-chain globali, arretrandone la posizione a uno stadio intermedio o periferico mentre altre economie rampanti, soprattutto asiatiche, la sorpassano.
UNIVERSITÀ E AZIENDE, CHE COSA NON FUNZIONA?
Ad una analisi approfondita, risulta che le ragioni fondamentali per questo andamento delle cose devono essere individuate in una difficoltà cronica, da parte dei motori della crescita, a rimettere in movimento l’economia generando uno slancio apprezzabile.
Il primo di questi motori è l’università con la sua ricerca di base, fondamentale per la creazione di progetti innovativi, il deposito di nuovi brevetti e la definizione di joint ventures con il settore privato, in grado di far leva sulle alte competenze degli scienziati. Il mondo accademico italiano risulta ancora troppo spesso chiuso fra autoreferenzialità, bizantinismi e incapacità di comunicare in modo diretto col mondo produttivo.
Il secondo di questi motori sono appunto le imprese: sebbene in Italia esista un nutrito gruppo di “aziende eccellenti”, campionesse di crescita e all’avanguardia per visione e organizzazione, è anche vero che molte PMI fanno fatica ad attrarre e coltivare competenze, e quindi non riescono a generare quegli aumenti di produttività dai quali potrebbe derivare una crescita dei salari e una ripresa del ciclo economico.
TRE PAROLE PER INVERTIRE LA ROTTA
Cosa possono fare gli imprenditori per promuovere la crescita delle PMI e combattere la tendenza al ripiegamento e alla stagnazione? Qui sta la buona notizia: ci sono infatti alcuni semplici fattori sui quali è possibile concentrare gli sforzi per rendere un’azienda più forte e resiliente rispetto al contesto. Questi sono i tre assi del network, della digitalizzazione e della formazione.
Network
Nella prospettiva dei prossimi anni saper fare rete fra imprese, e appoggiarsi ai servizi di rete, diventerà una variabile sempre più decisiva per beneficiare di tutte le alte competenze necessarie alla sicurezza e alla prosperità di un’azienda. I vantaggi legati a questa soluzione vanno dalla certificazione delle forniture alla velocità e semplicità nel reperire i servizi necessari al momento opportuno, rimanendo all’interno di una rete di relazioni commerciali consolidata e affidabile.
Digitalizzazione
Dal punto di vista dell’innovazione, la transizione digitale rimane il driver fondamentale di cambiamento capace di generare i maggiori incrementi di efficienza nei processi aziendali. Inoltre una profonda digitalizzazione determina un progressivo spostamento di interessi e priorità, per cui non interessa solo il “come si fanno” le cose, ma il “che cosa ha senso” fare nel nuovo contesto. Questo percorso di adattamento è un processo evolutivo che impone non solo la dotazione di nuovi strumenti, ma anche una riflessione profonda sul modo più intelligente di utilizzarli e, talvolta, una revisione strategica degli obiettivi.
Formazione
Terzo e fondamentale fattore, la formazione. L’esperienza insegna che nessun investimento in questo senso è sprecato, a patto che venga effettuato con una seria progettualità e con lo scopo di costruire competenze funzionali alla crescita dei lavoratori. Anche a questo scopo, le risorse e le opportunità offerte da una rete d’imprese possono diventare strategiche per tutte le PMI interessate a rafforzare la propria sicurezza e maturità tecnologica.
In conclusione, sarà proprio la combinazione di questi elementi chiave a decidere nel medio-lungo periodo quali aziende riusciranno a mettersi alla testa della nuova fase economica che si sta aprendo. Riportare l’Italia sulla strada di uno sviluppo industriale di successo, capace di generare valore e rendere il Paese attrattivo per nuovi investimenti stranieri è il compito che attende le PMI e tutti coloro che ogni giorno lavorano per sostenerle e spronarle.